Non autorizzo Facebook a farmi cascare in una bufala

A cura di Francesca Memini

Novembre 13, 2023

La bufala facebook

Il messaggio da copiaincollare per proteggersi dalle grinfie di Meta è tornato!
Potrà esservi capitato di vedere ultimamente post che recitano questa formula:

Anch’io sto disattivando!
Così ora lo stanno facendo, appena annunciato su Channel 4 News. Facebook addebiterà a tutti gli utenti a partire da lunedì. Puoi fare un’opt-out facendo questo. Tieni il dito su questo messaggio e copialo. Non si può condividere. Non do il permesso a Facebook di addebitare 4,99 dollari al mese sul mio account, anche; tutte le mie foto sono di mia proprietà e NON di Facebook!!! Un ringraziamento speciale a Larry per questo consiglio legale… e a Tim Barker per aver pubblicato queste informazioni:
A causa del fatto che tutti stanno lentamente venendo dirottati, sì dirottati non hackerati, stanno dirottando i nostri account, ora ancora di più.
Giusto in caso di avviso: un avvocato ci ha consigliato di postare questo. La violazione della privacy può essere punita dalla legge. NOTA: Facebook Meta è ora un ente pubblico. Tutti i membri devono pubblicare una nota come questa. Se non pubblichi un comunicato almeno una volta, si capisce tecnicamente che stai consentendo l’uso delle tue foto, così come le informazioni contenute negli aggiornamenti di stato del tuo profilo.
DICHIARO CHE NON DO A FACEBOOK META IL MIO PERMESSO DI USARE NESSUNO DEI MIEI DATI O FOTO PERSONALI.
Copia e incolla, non condividere. Sto ricevendo più post pubblicitari di vendita che post degli amici. Tieni il dito ovunque in questo post e clicca su ′′ copia “. Vai alla tua pagina dove dice “A cosa stai pensando. ” Tocca il dito ovunque nel campo vuoto. Clicca incolla. Questo aggiorna il sistema.
Ringrazio Davide per la segnalazione

A volte ritornano. In questo momento probabilmente il revival della bufala è legato alla notizia relativa alla gestione delle inserzioni di Meta. Se usate Facebook o Instagram avrete forse già ricevuto (o la riceverete a breve) la proposta di Meta di scegliere tra il servizio visualizzando la pubblicità (come è ora) o la possibilità di pagare un abbonamento, per usufruire delle piattaforme senza advertising. Si tratta di una novità che era stata anticipata già da qualche mese e le cui motivazioni sono state spiegate da Meta

“Per ottemperare alle normative Europee in continua evoluzione stiamo introducendo la possibilità di sottoscrivere un abbonamento in Ue, See e in Svizzera. A novembre offriremo alle persone che utilizzano Facebook o Instagram che risiedono in queste regioni la possibilità di continuare a utilizzare questi servizi personalizzati gratuitamente con la pubblicità, oppure di sottoscrivere un abbonamento per non visualizzare più le inserzioni.

Da una parte quindi la realtà ha sbufalato gli sbufalatori, che ci hanno sempre spiegato che Facebook non sarebbe mai stato a pagamento, perché il business model è quello dell’estrazione dei dati a scopi pubblicitari: l’affermazione non è più del tutto vera oggi. Tuttavia resta una bufala l’attribuzione di un qualsiasi tipo di valore legale a un messaggio sgrammaticato e copiaincollato in un post.

Bufale e formule magiche

È abbastanza facile pensare che questi messaggi agiscano come una specie di formula protettiva, apotropaica, offrendo un senso di rassicurazione e controllo su una realtà mutevole e che comprendiamo poco. Si diffondo post “per proteggersi” da un evento malvagio ed evidentemente Meta è percepito come “il Maligno” da cui proteggersi (dall’interno del suo regno infernale però).
Siamo nell’area delle formule magiche, come suggerisce nel suo post la linguista Vera Gheno: “Un esempio di valore magico della parola? Altro che le formule di Harry Potter: la fiducia che molte persone mostrano di avere per la condivisione su Facebook di un testo mal tradotto che dovrebbe proteggerle da… Facebook stesso.”

Post Vera Gheno Bufala FacebookPer chi ha qualche anno in più: ve le ricordate le catene di S. Antonio pre-internet? Erano quelle lettere che promettevano felicità a chi ne proseguiva la diffusione seguendo scrupolosamente le istruzioni e disgrazie a chi si azzardava a fermare la catena. Certo quelle richiedevano un’azione attiva, trascrivere la lettera (almeno 9 volte), comprare il francobollo, imbucare… tutto un rituale magico articolato, che però già con le fotocopiatrici si era snellito notevolmente. Ora, evidentemente, la fatica di fare le 9 copie è equiparabile a quella di un copiaincolla… sarà l’inflazione!
Resta interessante però che rimanga la richiesta di eseguire un rituale, con tanto di istruzioni per compierlo (Copia e incolla, non condividere.Tieni il dito ovunque in questo post e clicca su ′′ copia “. Vai alla tua pagina dove dice “A cosa stai pensando. ” Tocca il dito ovunque nel campo vuoto. Clicca incolla) anche se molto veloce e a costo zero.
Avete provato a chiedere a chi condivide questi stati perché lo fa? Spesso la risposta è “nel dubbio non mi costa nulla”. Non costa nulla ed è anche facile da fare, quasi come leggere l’oroscopo o come tanti altri piccoli gesti superstiziosi che facciamo in tanti, senza essere esposti al pubblico ludibrio (o quasi).

Formule magiche, atti linguistici e diritto

Facciamo un esperimento: mettiamo in stand-by la soddisfazione di ridere degli ingenui e di etichettare i superstiziosi. Proviamo a pensare se ci sono altre motivazioni, che possono aver guidato questo comportamento, sicuramente reso più facile dalla velocità e dal “non si sa mai”. Altri ingredienti della ricetta che rende tanto comune cascare in questa bufala.
Le parole possono avere un valore in un certo senso “magico”: ci sono parole che compiono atti nella realtà, come spiega la teoria degli atti linguistici del filosofo J.L. Austin.
Secondo Austin esistono particolari espressioni linguistiche che non si limitano alla funzione dichiarativa ma sono parole che “fanno cose” nella realtà La frase stessa costituisce l’esecuzione di un’azione, per esempio quando diciamo “scommetto che” o “ti prometto che”. Anche nel contesto del diritto ne esistono: per esempio “vi dichiaro marito e moglie” o “ti condanno a questa pena”, “dichiaro di lasciare in eredità” ecc. Per essere efficaci (anzi “felici” secondo le parole di Austin) questi atti linguistici performativi devono rispettare alcune condizioni. per esempio, deve esistere una procedura convenzionalmente accettata avente un certo effetto convenzionale, procedura che deve includere l’atto di pronunciare certe parole da parte di certe persone in certe circostanze.
Non tutti però conoscono quali sono le convenzioni che rendono legalmente valida una dichiarazione, ma l’ambito del diritto è un terreno scivoloso per molte persone, ammettiamolo.
In fondo accettare le condizioni di un servizio con un clic su un pop up è anch’esso una convenzione sociale, con la differenza (non da poco) che è riconosciuta legalmente, mentre il copiaincolla no.
Concretamente, c’è davvero tutta questa differenza tra fidarsi di questo:

Instagram inserzioni  meta abbonamento

e questo?

Come ci difendiamo dalle bufale: il prebunking

Certo ci sono indizi abbastanza evidenti, c’è la differenza tra un’autodichiarazione e una richiesta che arriva direttamente da Meta, c’è la conoscenza del contesto legale. Ma ci sono anche dei (grossolani) tentativi di emulare il linguaggio legale, ci sono riferimenti a termini tecnici, al consiglio di un avvocato. Per di più, i “rituali” del diritto sono davvero spesso incomprensibili e astrusi, il linguaggio legale è complesso ed esoterico. Tutti elementi che potrebbero portarci a considerare “normale” un messaggio poco comprensibile (ma inutilmente verboso) accompagnato da un gesto semplice (ma convoluto) come fare copiaincolla.
“Ma non si è mai sentito prima che un post su Facebook abbia valore legale!” Anche le convenzioni possono cambiare: fino a non molto tempo fa un’autocertificazione di residenza non aveva valore legale, era necessario andare in comune per avere un documento valido. Ora non è più così, anche se molte volte capita ancora di vedersi rifiutare l’autocertificazione.
Probabilmente quello che mette al sicuro molti di noi dal fare questo errore è una forma di “prebunking“: il fatto di essere già stati esposti a bufale simili in passato, di averle scoperte come false e di conoscere quali sono i meccanismi e le leve utilizzati in questo tipo di misinformation, ci rende “immuni” dal cascarci.
E forse, come effetto collaterale,  ci fa sentire anche migliori di chi ci casca.

Conclusioni

Come accaduto anche in passato, questa vicenda ci spinge a farci una domanda: possiamo tornare a ridere di ingenui, boomer e analfabeti digitali, oppure siamo tutti un po’ creduloni e superstiziosi? E quando si tratta del liguaggio e dei rituali un po’ esoterici della legge (o di altri settori in cui serve una competenza tecnica elevata) siamo sicuri che non sia capitato anche a noi di agire senza aver capito cosa stavamo facendo? Davvero volete farmi credere che avete letto e compreso tutte le condizioni di utilizzo delle app che avete installato sullo smartphone?
Insomma mi sembra che il dubbio che possiamo porci è più radicale: probabilmente chi casca in queste bufale è un po’ ingenuo, lascia scattare il pensiero veloce e non è preparato sul tema specifico, però non è così totalmente pazzo.
In altre circostanze potremmo cascarci tutti.

Per approfondire

 

Francesca Memini

Laureata in filosofia, mi occupo di progettazione e comunicazione strategica in ambito medico, collaborando con agenzie di comunicazione, università, associazioni di pazienti e società scientifiche. Ho conseguito un master in Medicina Narrativa presso Istud Sanità e ho svolto attività di formazione per i professionisti della salute. Ho fondato lo studio Con cura per la progettazione di attività di comunicazione di salute e digital health.

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