Perché non capisco i meme? Parte I

A cura di Francesca Memini

Gennaio 29, 2024

cos'è un meme - Logon odv

A meno che non siate l’attore Cillian Murphy – che ha scoperto meno di un anno fa della loro esistenza – ne avete sicuramente sentito parlare: i meme sono un dispositivo linguistico di utilizzo ormai quotidiano online.
Ma attenzione, i tempi stanno cambiando e i meme stanno diventati più criptici. Dove sono finiti i cari vecchi lolcats? Cosa sono questi meme con immagini distorte e battute nonsense? Perché non mi fanno ridere?
Se avrete la pazienza di seguirci… ci avventuriamo in un percorso a prova di “boomer” (cioè lo stesso percorso compiuto da chi scrive), per scoprire qualcosa di più di uno dei fenomeni più affascinanti di internet.
Via con la prima tappa!

I meme: cosa sono e come funzionano

Il termine “meme” viene coniato nel 1976 da Richard Dawkins, biologo e divulgatore scientifico, per spiegare l’evoluzione culturale attraverso una metafora biologica: il meme sarebbe per la cultura quello che il gene è per la biologia, elemento culturale minimo (un’idea, un comportamento, una moda, una melodia o una religione) che si replica e si riconfigura, trasmettendosi da persona a persona (come nel telefono senza fili).

Come racconta Alessandro Lolli, autore del saggio “La guerra dei meme” (la bibliografia ve la mettiamo a fine post), questo neologismo negli anni seguenti non sembra fare presa sulla comunità scientifica, probabilmente perché si tratta di una definizione piuttosto vaga e perfino superflua nel contesto delle scienze umane, che già possedevano più utili schemi interpretativi. Con l’avvento di internet, però, il termine “meme” acquista una nuova vita e viene risignificato per descrivere quello che oggi tutti conosciamo: “il meme di internet”. Non una vaga nozione astratta, ma un oggetto digitale, che per quanto assuma forme variegate, può essere descritto da alcune caratteristiche che lo distinguono da altri fenomeni virali di internet.
Il meme è un dispositivo linguistico, una modalità espressiva ad alto grado di condivisibilità, che non mira semplicemente a riprodursi come un virus ma a reinventarsi, attraverso una precisa volontà creativa.

Tutto ha origine con il web 2.0, quando l’utente ha iniziato ad agire simultaneamente come fruitore e produttore di contenuti multimediali, grazie alla facilità con cui le piattaforme social hanno reso possibile e promosso la creazione e distribuzione di contenuti.
La natura digitale dei   contenuti multimediali e la disponibilità di software e strumenti online sempre più facili da usare hanno reso le tecniche di modificazione e di remix alla portata di tutti. Provate a pensare quanto tempo e voglia servono per fare un collage con carta, colla e forbici?
Quanto ci vuole invece per fare uno screenshot e un copiaincolla? O per utilizzare un filtro, inserire un testo o una musica su Instagram?
Posso “appropriarmi” di un contenuto multimediale e rinnovarlo nel suo significato in pochi semplici clic. Lo faccio quando prendo la foto di un amico e la trasformo in uno sticker da usare su whatsapp. Lo faccio quando in una storia su Instagram  mi approprio di una canzone strappalacrime da abbinare alla foto del tramonto dal mio balcone, con l’intenzione di comunicare quanta poesia c’è nelle piccole cose, perfino nella vista da un balcone di Rozzano.
Non è finita: se il risultato è brutto, se sembra amatoriale, meglio! è garanzia di “autenticità”, un valore importantissimo per la comunicazione online.

Bradley E. Wiggins e Bret Bowers, ricercatori rispettivamente dell’Università di Vienna e dell’Università dell’Arkansas, definiscono i meme come un “genere di comunicazione in evoluzione, messo in atto dalla cultura digitale partecipativa”:

I meme, in quanto artefatti della cultura digitale partecipativa, illustrano la dualità della struttura in quanto possiedono le istruzioni su come remixare e riprodurre se stessi e allo stesso tempo manifestano l’attività dell’agente necessaria per la loro riproduzione.
Ognuno è chiamato a modificare il meme secondo la propria creatività, ma sempre seguendo il filo rosso dato dalla comunità.

Per arrivare a un vero e proprio meme è necessario un processo evolutivo: si parte da un contenuto multimediale originale (spreadable meme), cioè privo di modifiche, che ha il potenziale di una larga distribuzione (non solo online).
Il contenuto digitale può essere una frase, una foto, un audio eccetera: basta che abbia “qualcosa” che lo rende unico e che può fornirgli il potenziale emotivo/emozionale per essere condiviso.
Quando questo media viene alterato, remixato o parodiato diventa un meme emergente (emergent meme): acquisisce un certo grado di popolarità online, ma per essere considerato un vero e proprio meme deve ancora passare attraverso i molteplici versioning, iterazioni, remix e parodie della community. Solo a questo punto rientra nel catalogo dei meme a disposizione della comunità partecipativa di internet che lo utilizza manipolandolo e facendolo circolare sui social.

Per dirla come la interpreta il mememanifesto del Collettivo Clusterduck, un collettivo interdisciplinare attivo nell’ambito dei new media, tra ricerca, design e videomaking:

Il meme è sempre plurale, mai singolare. È percepito in un contesto, è fruito in gruppi; la sua stessa esistenza è per definizione possibile solo come variante di altri meme e come risultato di un’interazione – sia essa solo tra un gruppo di utenti.

Nel contesto dei meme, la riappropriazione di un contenuto pre-esistente è fondamentalmente basata sulla comicità e sullo scherzo.
In altre parole, la natura comica e scherzosa dei meme, particolarmente premiata dagli algoritmi delle piattaforme social, contribuisce alla sua ampia condivisione e diffusione all’interno della comunità online.

Come spiega Daniele Zinni, memer, social media manager e giornalista, nel suo libro “Meme del sottosuolo”:

[i meme] Hanno avuto successo perché hanno messo a disposizione di chiunque un repertorio di strutture comiche preconfezionate, modificabili grazie a mezzi hardware e software sempre piú intuitivi e diffusi. La comicità ha un ruolo chiave perché permette di ricevere gratificazione, sotto forma di reaction e condivisioni, con un vantaggio che altri generi social, anche quelli di sicuro impatto, non offrono: a differenza della polemica indignata, dell’aneddoto edificante o dell’autobiografismo strappalacrime, la gag non costringe a esporsi, argomentare o dimostrare. Tra le forme comiche, poi, il meme cattura con particolare rapidità l’attenzione di chi sta scorrendo il feed: usa elementi ricorrenti e grammatiche visive riconoscibili a colpo d’occhio, quindi invoglia a soffermarsi perché promette una risata.

Il meme è diventato lo “scherzo infinito” di internet: anche i più anziani come me possono riconoscere che il già citato Lolli quando usa questa espressione la sta rubando a D.F. Wallace che a sua volta l’aveva rubata a Shakespeare, ciascun furto ha modificato il significato ricontestualizzandolo, ha mantenuto un filo rosso comune ma l’ha arricchito di significati ulteriori. E noi lettori possiamo far dialogare nel nostro cervello tutti questi significati legati nel tempo dall’intertestualità.

Come riconosco un meme?

Ora che abbiamo capito che i meme sono artefatti digitali che risvegliano pratiche collettive e trovano negli ambienti online gli spazi perfetti per la propria diffusione, cerchiamo di essere concreti; se non ho mai visto un meme come lo riconosco?
Proviamo a rispondere senza usare troppi anglicismi o gergo tecnico, sempre pensando di parlare a un Cillian Murphy (italiano).

La forma più tradizionale e comune del meme, (secondo alcuni un “genere” di meme) è quella della macro, un‘immagine (una foto, un’illustrazione, un’animazione, un video) a cui viene aggiunto del testo, spesso suddiviso in due parti, un testo superiore (top text) con l’introduzione e uno inferiore (bottom text) che contiene la battuta vera e propria (punch line). In origine, il carattere tipografico (font) di riferimento per questi testi era l’Impact, ma oggi è diventato così vintage da guadagnarsi il titolo di “reato di Impact” per coloro che ancora osano utilizzarlo. Come sappiamo, però, anche il vintage può tornare di moda o essere oggetto di parodia (tenetelo a mente, poi ne riparleremo).

Le immagini di questi meme vengono scelte all’interno della cultura pop, dal discorso pubblico, possono essere fotogrammi di film o riferimenti ad altri fenomeni virali di Internet, o possono attingere a immaginari di specifiche nicchie culturali. Ciò che conta è che l’emozione o lo scherzo evocati dal meme siano noti alla comunità di autori-fruitori, in modo da fornire un contesto interpretativo alla luce del quale il meme può essere declinato. Come? Il modo più semplice di declinarlo è modificarne il testo.

La cornice memetica, o template, è l’elemento che non cambia del meme, è l’immagine portatrice di uno specifico significato, che determina o “prescrive” la battuta.
Per esempio:

Boromir meme - Logon odv

Il template, o cornice, del meme di Boromir, personaggio del film “Il signore degli anelli” con il testo “Non si può semplicemente entrare a Mordor” fa riferimento a un compito difficile o impegnativo. Mantenendo la citazione parziale “Non si può semplicemente…”, il testo aggiuntivo serve a declinare lo specifico compito difficile e impegnativo che l’autore del meme vuole comunicare, in modo comico.

Conoscere l’origine dell’immagine può aggiungere sfumature nell’interpretazione, ma non è necessario né è sempre significativo: sono numerosi, ad esempio, i meme basati su fotografie di stock nate quindi al di fuori di un contesto o di una narrazione specifica, ma che hanno acquisito attraverso il loro uso come meme una storia digitale di iterazioni e remix. Comunque se non li capite o volete capire la loro origine, sappiate che esiste già un enciclopedia https://knowyourmeme.com/

I meme di questo tipo sono chiamati meme pre-ironici: con il termine ironia, infatti, nella memesfera si intende qualcosa di diverso dalla semplice comicità.

Ne parliamo nella seconda tappa del percorso…

Per approfondire

 

Francesca Memini

Laureata in filosofia, mi occupo di progettazione e comunicazione strategica in ambito medico, collaborando con agenzie di comunicazione, università, associazioni di pazienti e società scientifiche. Ho conseguito un master in Medicina Narrativa presso Istud Sanità e ho svolto attività di formazione per i professionisti della salute. Ho fondato lo studio Con cura per la progettazione di attività di comunicazione di salute e digital health.

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